Il 29 agosto 1294 l’eremita Pietro del Morrone fu incoronato con il nome di Celestino V nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, da lui stesso fondata sul luogo ove la Vergine gli era apparsa per esortarlo a erigere un tempio in suo onore. Con la sua maestosa facciata a coronamento orizzontale, dal suggestivo disegno geometrico a conci calcarei bianchi e rosa, i tre magnifici rosoni aperti in corrispondenza degli ampi portali strombati, e la Porta Santa sul fianco sinistro, Collemaggio incarna il volto stesso dell’Aquila medievale, in quanto sintesi delle principali caratteristiche architettoniche cittadine.
Al tempo della cerimonia papale la basilica non era però del tutto compiuta e dovettero trascorrere molti decenni e due terremoti – nel 1315 e nel 1349 – perché i lavori giungessero a termine. Del resto, la città stessa appariva solo parzialmente edificata agli occhi di quanti parteciparono all’eccezionale evento.
Fondata nel 1254, l’Aquila aveva dovuto soccombere già nel 1259 alla distruzione ordinata da re Manfredi, sicché l’attività edilizia interrotta sul nascere poté riprendere soltanto con l’avvento della dinastia angioina nel Regno di Sicilia.
Risultato dello slancio architettonico impresso dalla propizia situazione politica è il più antico ed emblematico monumento civico: la Fontana della Rivera, detta “Novantanove Cannelle”, per via del leggendario numero attribuito ai villaggi che avevano contribuito alla fondazione della città. Costruita entro le mura, a ridosso della porta Rivera, in un borgo sede di attività manifatturiere che necessitavano di abbondanza d’acqua, la monumentale opera pubblica fu inaugurata nel 1272.
Oggi si presenta come una grande piazza in forma di quadrilatero irregolare, delimitata su tre lati dalle vasche che ricevono acqua attraverso le “cannelle” delle grottesche protomi umane e animali in pietra chiara alternate a formelle in pietra rossa. La bicromia connota anche il disegno a scacchiera delle pareti che s’innalzano al di sopra delle vasche e che sono il frutto di un’aggiunta di poco posteriore. La fontana è infatti il frutto di modifiche e ampliamenti che corrispondono a momenti significativi della storia cittadina.
Alla fase più antica appartiene il fronte principale, rivolto a oriente, con mascheroni tardo-duecenteschi aggiornati sulla cultura gotica circolante nel Regno di Sicilia. Un’epigrafe incastonata in questo prospetto tramanda il nome dell’architetto e scultore Tancredi da Pentima, nonché quello del promotore, Lucchesino da Firenze, governatore dell’Aquila, ricordato con versi d’elogio dal poeta civico Buccio di Ranallo.
Nel frattempo la città si veniva articolando in quattro Quarti, ognuno a sua volta ripartito in locali, aree edificabili assegnate ai villaggi fondatori. Ciascuno di essi s’impegnò a edificare la propria chiesa con piazza e fontana antistanti, conservandole il titolo della parrocchia di origine, a cui si aggiunse la specificazione del locale di appartenenza.
All’attività edilizia dei locali si affiancò quella promossa dagli ordini mendicanti: i francescani arrivarono all’Aquila prima del 1255; li seguirono i domenicani nel 1257. Sorta col favore di Carlo II d’Angiò e profondamente trasformata nel suo interno a seguito del terremoto del 1703, la chiesa di San Domenico esiste tuttora con i suoi muri imponenti, con il suo gotico portale aperto sul braccio del transetto rivolto verso il centro cittadino e con i suoi preziosi resti di affreschi tardo-trecenteschi.
Determinante sostegno alle fabbriche cittadine venne anche dai lasciti testamentari delle famiglie più importanti, come i Gaglioffi, così soprannominati dal capostipite Giacomo di Tommaso, arricchitosi con il commercio della lana, che fu all’origine di tante fortune e iniziative artistiche nei secoli della massima fioritura aquilana.
Se a causa del ripetersi dei terremoti la maggior parte delle chiese cittadine è stata profondamente rinnovata, alcuni insediamenti religiosi del territorio aquilano hanno meglio preservato gli antichi arredi liturgici e apparati pittorici.
Fra i numerosi esempi possibili, va citato l’oratorio di San Pellegrino a Bominaco, annesso a un’abbazia benedettina, con le pareti interamente affrescate prima del 1263 da pittori di origine romana, e la chiesa di Santa Maria ad Cryptas presso Fossa, vera e propria antologia della pittura locale fra Medioevo e Rinascimento, restituita al culto e ai visitatori da un recentissimo restauro. Degli affreschi tardo duecenteschi, distribuiti fra la cappella presbiteriale e l’aula, il principale responsabile fu quel Gentile da Rocca (Roccamorice) che nel 1283 licenziò il trittico ad ante mobili del Museo Nazionale d’Abruzzo proveniente proprio da Santa Maria ad Cryptas.
Per la storia dell’arte aquilana il Trecento è quasi tutto all’insegna del riflesso che le straordinarie novità della Basilica di San Francesco di Assisi ebbero nell’Italia centrale appenninica “alla sinistra del Tevere”.
Lontana dagli indirizzi artistici della capitale del Regno, posta com’era ai confini settentrionali del dominio angioino in Italia, l’Aquila e il suo territorio rimasero ugualmente estranei alla diffusione dei polittici di origine toscana, ai quali si preferirono come pale d’altare i tabernacoli a custodia dell’effigie tridimensionale della Madonna o di un santo, dotati di ali pieghevoli o sportelli dipinti con storie sacre.
A questo genere di ricettacoli, quasi sempre perduti o smembrati, appartennero le Madonne in legno intagliato, dipinto e dorato provenienti dalle chiese di Santa Maria ad Cryptas e di San Silvestro all’Aquila, solo per citare due splendidi esempi fra quelli esposti nella temporanea sede del Museo Nazionale d’Abruzzo a Borgo Rivera.
Verso il 1377 costituisce un’importante novità nel panorama artistico aquilano l’arrivo in città di Antonio d’Atri, pittore di cultura emiliano-adriatica attivo per le chiese di San Domenico e di Sant’Amico (1381); a un suo seguace forse locale si deve invece la Madonna col Bambino fra i santi Giovanni Battista e Pietro Celestino dipinta nella lunetta della Porta Santa di Collemaggio.
Occorre attendere i decenni iniziali del Quattrocento perché un pittore abruzzese realizzi un trittico come pala d’altare: l’opera, oggi nel Museo Nazionale d’Abruzzo, proviene dalla chiesa di Santa Maria del Ponte a Tione, non lontano da Beffi, località che dà il nome al maestro, verosimilmente identificabile col documentato Leonardo da Teramo (1385-1435).
Sul fondo oro riccamente operato sono raffigurati la Madonna col Bambino in trono e Angeli al centro, la Natività coll’Annuncio ai pastori e un donatore a sinistra, la Morte e l’Incoronazione della Vergine a destra. Al Maestro di Beffi è attribuita la decorazione pittorica riscoperta nel 1947 sopra la volta settecentesca del presbiterio di San Silvestro all’Aquila, vertice del gotico internazionale in Abruzzo, fra gli esiti più interessanti del tempo anche al di là dei confini della regione.
Cristiana Pasqualetti