L’opera controversa di Tommaso da Celano

L’opera controversa di Tommaso da Celano

Dies irae, dies illa, / solvet saeclum in favilla, / teste David cum Sibylla: questi incalzanti ottonari aprono la descrizione forse più nota e icastica del Giudizio finale. Un giorno terribile, quello dell’“ira divina”, in cui i morti, sfidando le leggi della natura, risorgeranno dai loro sepolcri per radunarsi, richiamati dal sublime e terribile suono dell’ultima tromba, davanti al Cristo assiso in trono che ne deciderà la sorte: salvezza e beatitudine per i buoni, condanna ai tormenti eterni per i malvagi.

Questi versi grandiosi, recitati durante le funzioni funebri e resi celebri dalle Messe da requiem, tra gli altri, di Mozart e Verdi, sono generalmente attribuiti a Tommaso da Celano (1190-1260 circa), abruzzese di buona famiglia che scelse di farsi frate minore nel 1215 seguendo l’esempio di Francesco d’Assisi. Un legame spirituale, quello con l’Assisiate, che ne caratterizzerà l’intera esistenza: non solo Tommaso ne porterà il messaggio in Germania, rafforzando le missioni già intraprese da Cesario da Spira, ma ne scriverà anche nel 1228 la prima biografia “ufficiale”. L’opera, approvata da Gregorio IX, sarà poi rivista più volte dal frate nell’arco di vent’anni, dando vita a un florilegio di versioni che riflettono le mutevoli esigenze di un Ordine in poderosa crescita, ma nel contempo vessato dalle diatribe tra “moderati” e “rigoristi”, che proponevano interpretazioni diverse (e a tratti opposte) del messaggio di Francesco.

Codice NAL 3245 con l’incipit della “Vita beati patris nostri Francisci”, scoperto nel 2014 dal Dalarun. Credits – gallica.bnf.fr / Bibliothèque nationale de France

Nonostante il successo delle opere di Tommaso, alla lunga prevalse l’esigenza di “metter mano” alla tradizione agiografica del Poverello, promuovendone una “nuova” e unica biografia nella quale l’Ordine potesse finalmente riconoscersi e riconciliarsi. Quest’opera fu individuata nella rassicurante Legenda (poi detta maior per distinguerla dalla minor, destinata all’uso liturgico) compilata dopo il 1257 dal neoministro dell’Ordine Bonaventura da Bagnoregio, una “versione ufficiale” della vita dell’Assisiate che soppiantò tutte le altre condannandole di fatto (così deliberò nel 1266 il capitolo francescano di Parigi) alla distruzione. La conseguenza fu devastante: migliaia di manoscritti, tra cui quelli contenenti le agiografie di Tommaso, furono mutilati o dati alle fiamme in uno dei più infausti e terribili roghi di libri che la storia ricordi, compromettendo per sempre la possibilità di conoscere in ogni dettaglio le fonti francescane delle origini.

Tutto ciò spiegherebbe anche perché una delle opere di Tommaso, la Vita beati patris nostri Francisci, composta negli anni Trenta su ordine del ministro generale frate Elia, sia rispuntata, dopo essere sparita per secoli, solo in tempi recenti (2014), e quasi per caso, all’interno di un codice appartenente a una collezione privata messa all’asta. Si deve all’intuito di Jacques Dalarun, valente studioso francescano, se il manoscritto – che comprende anche una miscellanea di altri testi messa insieme, si presume, nell’Italia centrale – è stato acquistato per 60.000 euro dalla Biblioteca Nazionale di Francia, dove tuttora si trova con la segnatura NAL 3245. Un ritrovamento straordinario per diverse ragioni: si tratta di una delle poche testimonianze sopravvissute all’epurazione decretata nel 1266 e ci restituisce la versione integrale della prima biografia di Francesco “a uso interno”, ossia scritta espressamente per i frati. E per di più con diversi episodi inediti.

Per quanto soppiantata da quella di Bonaventura, l’opera agiografica di Tommaso da Celano fu in ogni caso cruciale perché ebbe il merito di plasmare in buona parte l’immagine con la quale Francesco fu percepito dai posteri: un esempio di virtù e santità, prescelto da Dio attraverso il dono delle stigmate, capace di prodigi e miracoli ma anche – anzi, soprattutto – dotato di intensa, profondissima spiritualità. Un uomo che, nell’adesione totale ai precetti evangelici, scelse l’umiltà e la povertà come compagne inseparabili della sua intensa esistenza.

Tommaso morì il 4 ottobre 1260 nel monastero di San Giovanni in Barri, in val de’ Varri, un giorno dopo l’anniversario di morte di Francesco d’Assisi. Le sue spoglie oggi riposano nella chiesa di San Francesco a Tagliacozzo, dove furono traslate nel 1516.

Elena Percivaldi